NOSTALGIA LUCAS: The Dig

Nelle puntate precedenti: in un momento di massimo splendore dovuto al successo del pirata più simpatico della storia e di alcuni ottimi porting del famoso eroe con la frusta, LucasArts decise di richiamare alcune vecchie conoscenze, proponendo l’ottimo seguito di Maniac Mansion e dando finalmente un’avventura propria ai supercitati Sam & Max. Non ancora appagata, decise di liberare completamente l’estro di Tim Schaffer che in cambio deliziò il mondo intero con una delle avventure più ganze e coinvolgenti di sempre: Full Throttle.

Ma non era ancora abbastanza. Per il nuovo titolo spuntò fuori un nome che avrebbe dato garanzie di riuscita a tutto il progetto: Steven Spielberg.Il successo dei punta e clicca sembrava non avere limite. In quegli anni il mondo dei videogiochi stava passando uno dei momenti peggiori della storia, non tanto a livello di vendite quanto di qualità dei prodotti. La seconda metà degli anni 90 infatti sarà per sempre ricorda come il periodo pioneristico del 3d. Non erano ancora diffusi gli acceleratori grafici, ma già si pensava al 3d e ai motori grafici in grado di darci visuali a 360°.

I primi tentativi non apparivano semplicemente rozzi, ma risultavano addirittura agghiaccianti, improponibili nel loro tentativo di mostrarsi per qualcosa che inevitabilmente non sembravano.

Dal collo sembrerebbe Dida!

Ne dovettero uscire di porcate indecenti prima che che le teste dei personaggi smettessero di essere esagonali. Tuttavia, nonostante il mio pensiero, una certa PlayStation riuscì comunque a basare tutto il proprio successo su quello stile di gioco e per ben 12 anni milioni di videogiocatori si adattarono alla cosa e impararono a urlare al miracolo e a trovare gratificazioni grafiche ad ogni nuovo capitolo di Tomb Raider e cloni che entrava sul mercato.

“Intanto ero già la più figa di tutte! Tié Giana Sister!”

L’Europa, proprio come l’America, si era lasciata completamente ubriacare dalle nuove tecniche di programmazione.

D’altronde dopo il quarto bicchiere anche la più racchia del locale può diventare figa

È senz’altro vero che spendendo 700mila lire per una macchina moderna ci si aspetterebbe qualcosa di nuovo e diverso rispetto alla grafica colorata e cartoonesca del Super Nintendo, ma fino a che punto si è pronti a scendere a compromessi?

LucasArts aveva già dato il proprio contributo al 3d con un paio di sparatutto ambientati nel mondo di Star Wars, entrambi legati al concetto di bassa risoluzione ma comunque ben fatti. Per i loro cavalli di battaglia però non erano ancora pronti al passaggio nella terza dimensione, così, per stupire tutti, si presentarono con una storia scritta (almeno così riportavano le riviste dell’epoca) da Steven Spielberg.

“Hai detto ‘ben fatti’?”

Da un regista del genere ci si poteva aspettare di tutto, e in ogni caso sarebbe stato ben gradito (ricordiamo che siamo nell’epoca pre I.A.), per cui scoprire che il titolo era di ambientazione prettamente fantascientifica non poteva che far godere tutti coloro che avevano adorato i film del genere della nostra guest star!

La realtà era che io comprai The Dig fregandomene completamente di chi l’avesse scritto, anzi, tutto ciò lo scoprii solo dopo averlo completato. Questa volta, abbandonando i romanticismi verso il negozietto sotto casa, comprai il gioco all’Electronics, a quel tempo il negozione di elettronica più grande e invidiato della riviera romagnola, in una edizione economica, o probabilmente usato.

In fondo era molto simile al negozietto sotto casa…

Dopo l’installazione, come successe con Full Throttle, rimasi a bocca aperta, e con largo anticipo rispetto all’uscita al cinema di Armageddon, per la prima volta scoprii una terra minacciata da un asteroide gigante. Per proteggere la specie umana l’unica salvezza sarebbe stata andare a piazzare delle cariche direttamente sul planetoide.

La presentazione era un vero e proprio film, con una colonna sonora pazzesca e incredibilmente evocativa. Non c’era niente di sbagliato in tutto quello che stavo vedendo. Poi iniziò il gioco e la prima cosa che saltò subito all’occhio fu un’incredibile semplificazione del sistema di controllo: come prevedibile non c’era più lo Scumm testuale, ma non si vedeva ombra nemmeno del sistema di Sam & Max e tanto meno di Full Throttle.

E che cavolo, solo l’inventario?!

Niente, era diventato tutto automatico, qualsiasi cosa si potesse fare o la si faceva o non la si faceva, non c’era margine d’errore, non c’era più necessità di provare tutte le azioni sullo stesso oggetto per essere sicuri di aver completato la zona.

Da un lato mi dissi: “che figata, è molto più semplice e veloce“, ma dall’altro successe che ogni volta che mi bloccavo mi assaliva lo sgomento e il terrore di essere una schiappa.

La storia avanzando sembrò sempre più interessante, ma arrivato a circa metà gioco cominciai ad annoiarmi terribilmente del continuo andare avanti e indietro negli stessi posti, che tra l’altro, al contrario di TUTTE le altre avventure Lucas, erano veramente pochi, come pochi erano gli incontri con altri personaggi (per un totale di 6 in tutto il gioco).

La prima versione (mai pubblicata) era completamente diversa sia nella grafica che nella struttura di gioco. Inoltre c’era un personaggio in più!

Il gioco lo finii dopo diversi giorni, non per una estrema lunghezza, ma per la mancanza di voglia. Bloccarsi risultò infatti più demotivante di altre avventure e il fatto che i posti da visitare erano sempre gli stessi di certo non aiutava.

Ovviamente non me la sentii di bocciare un titolo del genere, e a quel tempo non ne rimasi nemmeno più di tanto deluso, ma poi scoprii Star Trek, allargai i miei orizzonti televisivi con decine di film di fantascienza e finalmente mi resi conto che la storia di The Dig non era altro che la copia videoludica di una qualsiasi mediocre puntata di The Next Generation o di Ai confini della realtà.

“Quindi io sarei una brutta copia di una brutta copia?”

Come se non bastasse, il finale arrivò con largo anticipo e senza sorprese, senza tanti intrecci e complicazioni nella trama, con l’unica nota positiva che ci si affezionava facilmente ai personaggi e si imparava ad amarli e odiarli.

Purtroppo a peggiorare la situazione ci pensò anche un doppiaggio italiano ai minimi storici, a tratti praticamente inascoltabile per l’amatorialità della voce dell’archeologo. Anche graficamente non si poteva gridare al miracolo poichè l’ingame era ancora molto pixelloso nonostante i buoni fondali e i filmati di intermezzo volutamente impostati a cartone animato non resero bene le atmosfere e si distaccavano decisamente troppo dall’estetica della parte giocata. Impossibile dire qualcosa di negativo invece sul comparto sonoro, azzeccatissimo e sufficiente da solo a portare il titolo alla sufficienza piena.

Stilando una classifica basata sulla qualità del titolo, sulla storia, sulle potenzialità informatiche e sul confronto con l’epoca in cui fu pubblicato, The Dig ne esce come il titolo più debole tra le avventure Lucas, un vero peccato viste le premesse.

Spielberg stava già finendo le idee?

Nella prossima puntata: l’attesa stava finendo, il seguito più atteso di tutti i tempi stava per arrivare!

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